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Boris Spassky - Robert James Fischer, Reykjavik 1972
ECO: D04 Difesa Alekhine


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Il 17 gennaio saranno già sette anni che Bobby gioca nelle celesti praterie, lui cavaliere solitario di un’epopea irripetibile ed indimenticabile. Su e contro di lui è stato scritto tutto ed il contrario di tutto, con stupore, compassione, superficialità, spesso malignità. Ma molti hanno colpevolmente dimenticato che quel ragazzino prima, e giovane poi, viveva per gli scacchi, l’unica cosa che lo assorbiva totalmente, l’unico vero compagno di vita, quel piccolo universo finito ed infinito allo stesso tempo. Molti non hanno voluto o saputo cogliere questa sua dedizione assoluta, patologica, al gioco, che in rari punti della sua carriera si fa palpabile, trasformandosi quasi in una paura di vincere, perché, quando hai vinto, il gioco è finito. In questi casi, la sua mostruosa, brutale capacità di demolire letteralmente l’avversario scompare disvelando, alla vista di chi sa guardare, una natura umana sensibilissima, con tutti i suoi dubbi, i suoi timori, le sue speranze. Una di queste rare partite è la tredicesima del match del secolo: con il Nero Bobby, che conduce 5 a 3, gioca un’inconsueta, per quel palcoscenico, Difesa Alekhine. Una vittoria lo porterebbe davvero, e per la prima volta, ad un passo dal trionfo. Spietato come solo lui sa essere, giunto verso la trentesima mossa in posizione vantaggiosissima, non riesce a trovare, malgrado l’aggiornamento, una via sicura verso la vittoria. Sacrifica allora l’Alfiere per liberare la corsa dei suoi pedoni e finalmente, dopo una lunga battaglia dove ogni mossa è un colpo di scena, il gentleman Spassky si arrende. Il commento di Botvinnik: “mai visto niente di simile sinora”. Quello di Bronstein: “questa partita è la più avvincente del match”. Semplicemente: epica, grandiosamente umana!